Parte 2: “CORONAVIRUS, PENSIERI DALLA QUARANTENA PER LA FASE 2”

Coronavirus, fase 2. Gli alunni con disabilità, pensieri dalla quarantena. “Valutare” gli alunni con disabilità

Gentili lettori della lista, vi invio un’altra riflessione sul rientro a scuola dopo la quarantena per gli alunni certificati, partendo dal punto della conoscenza della situazione.

Coronavirus, fase 2.

Gli alunni con disabilità, pensieri dalla quarantena.

“Valutare” gli alunni con disabilità

 

Sul sito di Superando (https://www.superando.it/2020/04/17/opinioni-a-confronto-sulla-valutazione-degli-alunni-con-disabilita/ ), nei giorni scorsi, Salvatore Nocera ha pubblicato un intervento dedicato alla valutazione degli alunni certificati. A seguito di questo intervento, alcune famiglie hanno espresso il proprio disappunto relativo alla posizione assunta da Nocera sulla possibilità di passaggio, nella scuola secondaria di II grado, dal PEI differenziato al PEI equipollente (o per obiettivi minimi, come si usa dire), cioè passare, anche nell’ultimo anno di corso, da una programmazione totalmente individualizzata ad una che ha come obiettivo l’ottenimento di un diploma, senza necessariamente affrontare esami integrativi per dimostrare le competenze richieste negli anni precedenti.

Non intendo entrare nel merito di una questione che ritengo assolutamente marginale in questo tempo oscuro. Un tempo in cui la scuola non c’è per nessuno e, ad oggi, non è dato sapere come sarà, quando sarà. In un momento in cui l’esame di stato cambia per tutti.

Credo che non sia questo il tempo per guardare il dito che indica la luna, ma di capire che c’è una luna grandissima caduta in mezzo a noi; una luna così grande da essere invisibile eppure potenzialmente mortale. Non possiamo far finta che non ci sia o che sia una cosa che passerà cosicché tutto torni come prima.

Tra l’altro, parlando di persone con disabilità, non è che le cose andassero benissimo neanche prima del virus con la corona. Ora le persone con disabilità in età avanzata sono state letteralmente decimate. Vediamo di fare in modo che non accada anche ai bambini, ragazzi, giovani adulti.

Ho scritto in una mail precedente quello che penso sul rientro a scuola nella fase 2 e su tutti i pericoli insiti nella “liberazione” dalla reclusione domestica. Pericoli che diverranno mortali se non sapremo vederli e prepararci per farvi fronte nel modo giusto. Sempre per quanto ora è dato sapere, perché questo virus è mutevole e ingannevole, più elusivo ed efficiente di altri.

A questo punto, dopo diversi mesi di isolamento in casa, in quali modi e quali termini e con quale portata di senso si può (e soprattutto si deve) parlare di valutazione degli alunni con disabilità?

Il senso è molto, a mio avviso, soprattutto in un Paese che quando parla di valutazione pensa soltanto alla promozione/bocciatura o al voto.

La valutazione non è questo, non è questa contabilità spicciola.

La valutazione è un processo nobile ed essenziale per educare e per insegnare, per far crescere le persone, aiutarle a trovare se stesse e il proprio posto nel mondo.

Nel caso dei ragazzi con disabilità, questo è ancora più vero e noi oggi, come Paese, siamo lontani anni luce dall’aver anche lontanamente messo in campo qualcosa di concreto su questo. E sono passati più di quaranta anni dalla Legge 517/77.

In modo molto semplice, senza nessuna pretesa di originalità o di esaustività, voglio innanzi tutto sottolineare alcuni punti fondamentali.

Innanzi tutto la parola italiana “valutazione” ha perso, con l’uso riduttivo cui sopra accennavo, una sua componente di significato importantissima. Quella che in inglese viene chiamata processo di assessment. L’assessment è il processo attraverso cui si indaga il funzionamento della persona in tutti i suoi aspetti, per individuarne esattamente le capacità e le possibilità, le risorse e le potenzialità, così come i limiti e le difficoltà. Noi non abbiamo a scuola strumenti di assessment validati per esaminare puntualmente e continuamente la situazione degli alunni disabili.

Perché fisso questo punto? Perché oggi siamo davanti alla domanda: come rientreranno i ragazzi disabili a scuola dopo questa lunga interruzione? Già prima, in moltissimi casi, sugli alunni certificati si avevano relazioni generiche e griglie genericissime. Come si farà a valutare adesso in quali condizioni tornano? Prima di parlare di revisione dei PEI bisognerà capire tutta una serie di cose, la prima delle quali è, ripeto, come sono messi adesso.

Non possiamo aspettare di farlo a settembre (ammesso che a settembre si torni) perché se lo facessimo non sapremmo come programmare il rientro dal momento che le modalità di accoglienza in sicurezza nei nuovi contesti dovranno essere calibrate su come gli allievi sono ora e non come erano quando sono stati chiusi in casa.

L’assessment dei ragazzi con disabilità va fatto in estate e va fatto per tutti, con l’aiuto dei neuropsichiatri e delle famiglie. E se non ci sono neuropsichiatri infantili sufficienti, è ora che vengano assunti perché l’emergenza non riguarda soltanto le rianimazioni (che speriamo in futuro servano in modo sempre più limitato). Salvare la vita è essenziale ma dopo bisogna anche avere una vita da vivere, o no?

Fare un assessment adeguato, adesso, richiede strumenti semplici, alla portata di tutti. Senza fare una commissione che litighi tre mesi per decidere se fare la domanda A o la domanda B. Non è questo il tempo in cui ci si può mettere a filare lana caprina.

Voglio fare un inciso. Quando si usa il termine valutazione a scuola si intendono due momenti essenziali e distinti. Il primo è la valutazione formativa, che serve in corso d’opera a capire cosa un allievo sta imparando, se sta imparando, cioè se il nostro insegnamento è efficace e quanto. Poi c’è la valutazione sommativa, che è quella che si fa alla fine e che decide se uno è promosso o se non lo è.

Ribadisco che il processo di assessment non può essere confuso con nessuno di questi due momenti. Li precede e li accompagna, riguarda tutti gli aspetti del “funzionamento” dell’allievo certificato, da quello sensoriale a quello del movimento, dell’equilibrio, della propriocezione, la coordinazione occhio-mano, la consapevolezza dello spazio e del proprio movimento in esso, l’orientamento spaziale e il wayfinding (cioè se si è in grado di sapere in quale punto si è dell’ambiente che ci circonda e quale via seguire per andare da dove si è a dove si vuole andare), poi seguono gli aspetti comunicativi e relazionali, quindi le capacità cognitive, le abilità necessarie per stare in una determinata situazione per un determinato tempo, e – soltanto in ultimo – gli apprendimenti formali. Ho certamente dimenticato qualcosa, ma l’elenco serve per intenderci.

Ciò posto, e soltanto dopo questo passaggio, si potrà programmare il rientro a scuola, valutando quali condizioni lo rendono possibile e sicuro. Poiché i rientri potranno e dovranno avvenire in modi assolutamente diversi e assolutamente diversi saranno i modi di stare a scuola e di imparare. Diversi i tempi, diversa l’organizzazione degli spazi, diversi i contenuti. Ancora soltanto dopo si potranno sviluppare i nuovi PEI.

Per ciascun ragazzo, ad esempio, sarà necessario riprendere le competenze prima presenti e oggi smarrite. Non saranno le stesse cose per tutti, anche se tutti dovranno sicuramente recuperare tantissimo.

Occorrerà ripensare ai percorsi. Ad esempio, i ragazzi con PEI equipollente o per obiettivi minimi (espressione che odio): già faticavano a stare al passo prima, in che condizioni sono ora? Saranno costretti a tornare ai PEI differenziati? Dovranno tornare indietro e abbandonare le speranze?

Per assurdo: nel tempo che ci aspetta occorrerà più scuola per questi ragazzi non meno scuola. Scuola in condizioni di sicurezza e sviluppata con modalità, tempi, caratteristiche diverse. Con l’intersezione di diverse professionalità ad occupare le giornate per fare cose utili e profittevoli. Quindi non scuola nel senso tradizionale del termine, seduti in auletta di sostegno facendo ogni tanto qualche capatina in classe o condividendo di passaggio qualche laboratorio. La scuola dovrà essere diffusa sul territorio e prestata da enti diversi in momenti diversi. Perché 8 ore di scuola per tutti, nelle scuole che fisicamente sono quello che sono, è impensabile con il virus che circola e circolerà ancora.

Occorre ripensare alla socialità. Pensiamo a quanta fatica impiegata per insegnare ad un ragazzo con autismo a dare la mano quando ci si presenta a qualcuno e adesso dovergli dire che “no scusa ci siamo sbagliati, adesso non toccare nessuno”.

Soltanto dopo l’assessment iniziale e continuo, dopo la revisione dei PEI, potremo parlare di valutazione nel senso di valutazione formativa e poi sommativa, cioè assegnare voti o simili. E’ vero che nel campo della disabilità a basso profilo cognitivo questo non è un grosso problema, ma per tutti i ragazzi che potrebbero comunque ambire ad un diploma, questo tema resta importante.

Ma non possiamo farlo adesso perché non sappiamo qual è la situazione, né la loro né la nostra e come sarà il mondo nel prossimo futuro.

Partiamo da adesso, partiamo dall’assessment delle condizioni attuali, usiamo l’estate per lavorare.

Prepariamo il rientro. Capiamo come poter fare l’inclusione sicura al tempo del coronavirus. Poi parleremo di esami e di diplomi. Quando avremo capito qual è la terra su cui posiamo i piedi.

Insegnanti, educatori, neuropsichiatri infantili, psicologi e clinici saranno chiamati a lavorare d’estate?

Si potrà pensare a forme di assessment a distanza, con il materiale portato a casa, presentato dalle famiglie e magari – ove possibile – effettuato a distanza? Oppure preparando le famiglie? Oppure individuando luoghi sicuri (magari le scuole stesse, visto che gli altri compagni non ci sono), dove in un’aula disinfettata, a distanza di sicurezza, con le mascherine, si avvia il processo di presa di contatto con la nuova realtà? Perché no? Ci sono medici che sono morti per salvare delle vite. Medici e infermieri e assistenti che hanno lasciato le proprie famiglie per tenerle al sicuro e che hanno dormito, quando l’hanno fatto, in condizioni di fortuna. Che usano i pannoloni perché una volta vestiti non possono più svestirsi fino a fine turno.

E noi non possiamo lavorare d’estate? E chi l’ha detto? Chi dice che l’estate è sacra mentre la gente muore a grappoli, l’economia va a rotoli e c’è gente che non sa come pagare l’affitto?

Dunque si può fare se si comincia a lavorare lasciandosi dietro le spalle le ubbie e quelli che dicono sempre di no.

Ci sono anche tanti insegnanti in pensione che potrebbero dare una mano. Fanno tanto volontariato, tenevano aperte le biblioteche, organizzavano eventi culturali, aiutavano nei doposcuola, insegnavano italiano agli stranieri. Tornerebbero di corsa a dare una mano, per i ragazzi disabili, poi, correrebbero.

Certamente assicurando le condizioni di sicurezza personali per tutti, mascherine efficaci in numero sufficiente, saponi, salviette, bagni costantemente puliti, ecc. ecc.

Altro per ora non dico.

Spero di non avervi annoiato.

Saluti cari dalla quarantena

Graziella

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